Luisa Lipparini Storie

 

Incontro con "Reginella"

di Luisa Lipparini Leonardi

 

 

Ho avuto modo di conoscere l’associazione “Reginella” alcuni anni fa quando, durante uno spettacolo al Teatro San Filippo Neri, mi è stato presentato il presidente Dottor Maccauro.

La sera stessa, mio marito ed io, ci siamo recati a cena insieme ai soci di Reginella.

Come sempre succede, abbiamo cominciato a chiacchierare con una coppia di coniugi seduti accanto a noi: lei gentile ma un po’ timida e riservata; mentre il marito ha cominciato subito ad intrattenerci raccontando aneddoti e barzellette.

Poi, come sempre succede, abbiamo parlato dei figli, scambiandoci qualche confidenza.

I nostri nuovi amici ci hanno raccontato che, per tradizione di famiglia, loro malgrado, hanno dovuto dare al primo figlio maschio il nome del nonno paterno: “GENNARO”.

Il figlio ora è laureato e lavora in banca in Germania e lamenta che i colleghi (maschi) sorridono maliziosamente sentendo il suo nome che lo qualifica come napoletano,

Io però ho pensato che le donne , quando in una fredda giornata piovosa e senza sole, incontrano un giovane sicuramente bello e dagli occhi brillanti, come tutti gli Italiani del Sud, sentendo il nome Gennaro (e per di più ) D’Amore, non possono fare a meno di sognare di trovarsi con lui in una terrazza sul golfo di Napoli, avvolte dall’azzurro del cielo e del mare , mentre uno scugnizzo canta una romantica canzone, e, perché no, davanti ad una bella pizza fumante seguita da uno splendido caffè.

Napoli è veramente una città speciale capace di mandare nel mondo giovani che, col solo loro nome, riescono a far sognare!

 

 

 

"Visita alla Certosa di San Lorenzo a Padula"

di Luisa Lipparini Leonardi

 

E’ una bella mattina di giugno quando, insieme ad una allegra comitiva di amici, mi reco alla Certosa di San Lorenzo, nel ridente paesino di Padula.

La nostra guida ci spiega che la Certosa fu fondata nell’anno 1306 da Tommaso Sanseverino Conte di Marsico il quale, appena sancito il contratto di fondazione, ne fece dono ai Monaci Certosini che seguivano la regola “ora et labora” e avevano la grande capacità di inserirsi nel tessuto sociale della popolazione dei territori da loro amministrati ed erano specializzati nella bonifica dei luoghi paludosi.

La guida continua a fornirci notizie sulla Certosa mentre attendiamo il nostro turno per poter procedere nella visita; ma io sento la necessità di allontanarmi un po’ dalla comitiva per seguire i miei pensieri.

Immagino di trovarmi nella Corte Esterna in una mattina di settecento anni fa.

E’ l’alba. Una torcia è ancora accesa al centro del grande cortile. Il monaco portinaio arriva scuotendo una campanella, si avvicina al portone di ingresso e lo apre con una enorme chiave di ferro; saluta i pellegrini che, ritemprati da un buon pasto e da un buon riposo, sono ansiosi di riprendere il loro viaggio approfittando dell’aria fresca del mattino.

Ora cominciano ad arrivare i commercianti, accompagnati da servi e muli carichi di enormi sacchi di grano che al mulino verrà macinato e trasformato in farina; portano anche formaggi, erbe, uva e tutti i prodotti dei campi che verranno lavorati nelle botteghe poste ai lati della Casa Bassa.

Il sole illumina questa Babele colorata di uomini e animali, quando nella piazza irrompe un drappello di cavalieri che accompagnano un nobile prelato. E’ un personaggio importante ed atteso che viene accolto con grande deferenza e fatto entrare nella Domus Alta, mentre i servi si prendono cura dei cavalli e li conducono nelle stalle dove avranno acqua, fieno e verranno spazzolati e ferrati.

Ora anche noi entriamo, seguiamo il Prelato nel chiostro della Foresteria, dove le belle camere hanno i muri dipinti e i soffitti a cassettoni.

La guida mi richiama alla realtà ricordandomi che un tempo questo luogo era riservato alla clausura e, naturalmente, era interdetto agli estranei e alle donne.

Bene, per fortuna a me oggi è concesso di entrare!.

Accediamo alla chiesa attraverso un magnifico portale in cedro del Libano completamente intagliato con rosoni e lettere greche; anche il coro, molto bello, è lavorato ad intarsio, ma io penso ai monaci che -al suono di una campanella- dovevano essere pronti a recarsi in chiesa di giorno e di notte dove restavano inginocchiati per lunghe ore per pregare, ascoltare le letture dei testi sacri e….fare la confessione a voce alta davanti a tutta la Comunità!.

Poveri monaci! Dovevano pregare, lavorare, meditare, digiunare, sempre in silenzio e in solitudine, mentre il Priore esercitava su di loro ogni potere spirituale e temporale.

Proseguiamo la visita e vediamo la Cappella del Fondatore dove è conservata la tomba del Conte di Sanseverino, poi la Sala del Capitolo e la Sala del Refettorio.

La cucina è imponente e dotata di accorgimenti che la rendono ancora oggi funzionale, ma ciò che più colpisce la mia fantasia è l’apprendere che attraverso le tubature, collegate ai rubinetti, i pastori per ben tre volte al giorno mandavano il latte appena munto ai Monaci.

Entriamo nel Chiostro Grande, veramente splendido, pieno di luce e di sole e –ubicate su tre lati- possiamo osservare le porte d’ingresso delle celle dei Monaci di Clausura.

Finalmente ci è concesso di entrare in una di esse!.

E’ spaziosa e comprende anche un corridoio da cui si accede ad un piccolo orto…..

Io guardo la finestrella che il monaco apriva una volta al giorno per prendere il cibo e forse in quel momento, alzando gli occhi verso il cielo azzurro, sognava di poter volare in alto insieme alle rondini che garrivano libere e felici.

Mi avvicino al tavolo dove il monaco leggeva e studiava, cerco di immaginare il suo viso austero e sereno, i suoi capelli bianchi… ma con mia grande sorpresa si presenta un uomo giovane con lo sguardo inquieto, gli occhi scuri, come i capelli e la barba. Indossa un saio enorme per la sua esile figura.

Esclamo fra me e me : “Ma questo giovane è un figlio cadetto e non aveva la vocazione!. Poverino, come avrà fatto a trascorrere in clausura tanti anni, fino alla vecchiaia? “.

Sto per uscire dalla Certosa, ma il mio cuore è triste, finché noto una piastrella con la scritta:

“LA CERTOSA E’ STATA NEL TEMPO LUOGO DI CLAUSURA, PRIGIONE POLITICA, CAMPO DI CONCENTRAMENTO, MA QUI DIO C’E’“.

Finita la visita mi siedo su una panchina e comincio a scrivere: “IL LUNGO VIAGGIO” “Chi abitava in questa cella…..”.

 

 

 

 

Le "Storie" di Luisa Lipparini Leonardi

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